Le Radici del Gelsomino (Summary in italiano) scritto da Touhami Garnaoui

Il processo di massa, denominato “primavera araba” avviatosi in Tunisia il 14 gennaio 2011 e tutt’ora in corso, che ha richiamato il “risveglio sociale” o la rivolta contro i vecchi despotismi, o la riapparizione dell’ideologia di liberazione, si è trasformato immediatamente in “risveglio islamista”, favorito dalla crisi profonda del capitalismo finanziario, e dalle monarchie arabe, prodotti dal periodo coloniale. Tuttavia, i teorici dei movimenti islamisti non sono riusciti a fare, ad esempio, il lavoro intellettuale necessario per raggiungere in termini di modernizzazione, di progresso sociale e di dignità umana, la riflessione delle correnti dei teologhi della liberazione latino-americana

Nel caso della Tunisia, ogni risveglio è finito in tragedia, per due motivi, in particolare.

Il primo motivo è a carattere geografico. All’epoca dei poemi omerici e in quella di Erodoto

venivano indicate con il nome di Libia tutte le terre dell’Africa settentrionale ad Ovest del Nilo fino all’Oceano Atlantico. Gli antichi geografi l’avevano chiamata Africa Minor per distinguerla da tutto il resto del continente africano e perché si protende nel Mediterraneo occidentale come l’Asia Minore in quello orientale.

Gli Arabi, che avevano occupato l’Egitto e parte della Libia, denominarono Maghreb ossia Occidente quei altipiani dietro i quali vedevano tramontare il sole, e più tardi, quando già le avevano occupate e meglio le conoscevano, definirono in modo suggestivo Gesiret- el- Maghreb ossia Isola dell’Occidente tutta la regione compresa fra l’Oceano a Ovest, il Mediterraneo a Nord e ad Est, ed il Sahara a Sud, perché isolata per tre lati dai flutti marittimi e per il quarto dal gran mare di dune e di rocce del deserto.

In verità, non pare molto corretto definire il Maghreb una « Gesira ». Un’isola non è una terra chiusa; essa è circondata dal mare che la collega facilmente con altre terre, con altre civiltà, mentre il Maghreb, soprattutto all’epoca classica, era praticamente chiuso su tre lati. Era più facile approdare nel Maghreb che uscirne. La storia del Maghreb è quindi la storia dei potenti popoli invasori venuti da Oriente e da Occidente.

Terra ricca bramata, anche per continuità geografica, il Nord – Africa, ricco mosaico di spazi geografici e di formazioni sociali, è un teatro naturale di scontro tra Oriente e Occidente, alla ricerca di spazio, di ideologie e di interessi contrapposti. Paese incompiuto, il Maghreb è un sogno tra due civiltà, quella passata e quella dei nuovi conquistatori. Due modi di vita irriducibili l’uno all’altro. Un antagonismo che ha coinvolto e stravolto la natura, gli uomini e gli dei. La conquista territoriale, militare o pacifica, ai danni delle popolazioni locali, sempre considerata dai nuovi arrivati un atto d’incivilimento e di sottomissione dovuta al nuovo e vero Olimpo.

Il secondo motivo è a carattere istituzionale. Le formazioni sociali locali in Tunisia, così come in tutto il Maghreb, appaiono come un mosaico di popoli storicamente costretti a vivere separati, incapaci di vivere liberamente sotto un’unica bandiera, un unico senato che non sia straniero.

Nel Tell tunisino, ma soprattutto nella Cabilia e nell’Aures algerini, nel Rif marocchino, gli scambi con il resto del paese sono ridotti. E, tuttavia, queste popolazioni, con la loro mobilità, con la loro massa, si impongono alla pianura, alle coste marine, nella misura in cui queste regioni « civili » necessitano di uomini. S’impongono come forza lavoro e come reclute militari, ma spaventano come massa esclusa dai benefici e dai prodotti delle altre civiltà. Tutte le grandi civiltà del Mediterraneo hanno con loro un elevato debito di sudore e di sangue. Le mura puniche tremarono, invece, durante la famosa « Rivolta dei Mercenari » durata tre lunghi anni di devastazione e di umiliazione del senato cartaginese. Annibale perse la battaglia di Zama contro Scipione l’Africano, non tanto per il genio militare del romano, quanto per l’insufficienza numerica della cavalleria berbera rimasta fedele al Cartaginese; il resto della cavalleria fu messo dal traditore Massinissa agli ordini del Romano.

Faremo una distinzione tra i diversi popoli tra popoli della montagna, altri del deserto, altri delle oasi, altri degli altipiani e delle colline, e altri delle pianure.

La massa montanara, per esempio, tenuta nell’ignoranza, è soggetta facilmente all’inganno e al fanatismo. La demagogia e gli slogan fanno, in questi paesi tradizionalmente generosi e ospitali, massicce benché instabili conquiste. La loro popolazione passa dall’animismo africano, all’adorazione degli dei di Cartagine e di Atene, poi di quelli romani, al giudaismo, al cristianesimo con tutte le sue scuole, donatista, manichea, ariana, pelagiana, gnostica, priscillianista, origenista, all’islamismo sunnita, a quello sciita, mescolando fedi e riti, riadattandoli al proprio sistema di vita, cioè alla loro società e alla loro forma di economia. Per mancanza di dottori della fede e per effetto delle molte oppressioni subite e a cui rimangono tuttora esposti, là dove scarseggiano le risorse e i collegamenti, la popolazione è tanto ignorante di ciò che dovrebbe sapere da conservare a stento alcuni residui religiosi, valorizzando il verbo più dell’idea, il segno più del significato, il simbolo più del simboleggiato. « I santi e i loro ammiratori, scrive R. Montagne (« Les Berbères et le Makhzen dans le sud du Maroc ») li vediamo frammischiati a una folla di intriganti, di matti e di semplici di spirito ».

Le popolazioni berbere non montanare sono sommerse nel Sahara, in questo vasto spazio sovrabbondante e ostile, in vicinanza del Mediterraneo. Sebbene raramente il passaggio sia brusco, la linea divisoria, facile a tracciarsi su una mappa, coincide con il limite nord della lunga zona puntiforme dei palmeti, lentamente piantati dall’uomo.

L’aridità climatica e la sovrabbondanza degli spazi vuoti condannano l’uomo a un movimento lento ma perpetuo, molto oneroso. Immensità e vuoto, scarsità d’acqua, di pascoli e di combustibili, vale a dire povertà e denutrizione.

Le prime steppe cominciano con le case d’argilla e di fango. Le costruzioni di pietra, quando esistono, sono costruite per sovrapposizione di pietra a pietra, senza nessuna armatura; talvolta sono dei capolavori.

Non è stato sempre il nomade ad approfittare delle debolezze del sedentario. Il giudizio sulle sue razzie e le sue guerriglie (“rapinae”, “tumulti”), s’accompagnano da una ignoranza quasi totale della realtà semi – nomade, che possiamo definire come un modo di esistenza a fondo sedentario, ma comportando, per motivi di predominazione dell’allevamento estensivo, la necessità di disporre di vaste terre per il pascolo.

La storia è piena di esempi di misure coercitive e di attacchi portati contro i modi di vita tradizionale del nomade. Ricordiamo i trasferimenti di popolazioni operati a beneficio dei coloni romani, la politica di insediamenti militari ai confini delle province africane a seguito delle insurrezioni getuliche, e la costruzione della strada militare Ammaedra – Theveste – Capsa –Tacape per permettere alla III. Legione Augustea il controllo del territorio a sud della Tunisia e fino alla Piccola Sirte. I popoli interessati a questa importante via appartenevano alla potente confederazione dei Musulami che occupava le terre da pascolo che si prolungavano a nord – ovest fino alla Mauretania. Visto che una catena di “chott”, El Gerid, El Melghir, El Hodna, El Sherghi, circonda il sud dell’Africa, della Numidia e della Mauretania, iniziando dal golfo di Gabès, si capisce chiaramente fino a che punto il controllo romano stabilito sul primo tratto di questo percorso poteva minacciare gli itinerari tradizionali della popolazione della zona.

Le oasi, scrive Braudel ((La Méditerranée et le Monde méditerranéen à l’époque de Philippe II)), sono “minuscoli punti di appoggio…di concentramento di popolazione, vere città agricole dove le strade corrono parallele ai canali di irrigazione… L’oasi impone una costrizione totale.

L’uomo vi si logora in un clima ostile; è preda di una serie di epidemie, tra cui la malaria…La vita delle oasi esige un rifornimento continuo di uomini. Le oasi sahariane conobbero la schiavitù dei neri molto prima dell’America ».

Gli uomini degli altipiani e delle colline sono laboriosi, equilibrati, se non ricchi, almeno agiati ((i Barca, i Julius, i Khaznadar, il clan Ben Ali, etc.).). Famosa la grande pianure del Fahs, appoggiata tra il mare e le grandi pianure. Curate, attrezzate, irrigate, queste dolci colline sono tutte vegetazione. Ma le colture a terrazze, lungo il pendio, sono fragili, forzatamente in competizione fra loro: la vigna ai margini, l’ulivo e gli altri alberi un po’ dappertutto, in mezzo il grano, l’orzo, l’avena frammischiata di legumi, a secondo della richiesta di mercato.

Lontano dai centri abitati, osserva Braudel, “si stabiliscono le grandi proprietà a cultura estensiva…ma esige lunghi sforzi. Innanzitutto, il problema delle inondazioni.

L’acqua che ristagna dopo le grandi piogge torrentizie costituisce immense paludi…Donde le terribili febbri palustri, flagello delle pianure… Conquistare la pianura, quindi, significò anzitutto vincere l’acqua malsana e debellare la malaria. In seguito, riportarvi l’acqua, questa volta vivificatrice, per le necessarie irrigazioni…

Finalmente, la lotta per l’indipendenza ha portato alla creazione della repubblica tunisina che ha cercato di unificare questi popoli di diverse origine (berberi getuli a sud, numidi al centro, mauretani ad Ovest, arabi, turchi, greci, italiani, e diverse culture (mussulmani sunniti, chiiti, cristiani, ebrei) sotto un’unica bandiera, o più esattamente li ha assoggettati ad uno Stato, un quasi Stato, sotto “amministrazione indiretta” La repubblica non è stata una vera “res publica”, una cosa pubblica, ma una questione di clan avvicendatisi attraverso colpi di Stato, come una volta ai tempi del governo di Roma in Africa.

La cosiddetta “rivoluzione del gelsomino” ha dunque radici lontane che la cultura arabo-mussulmana ha insabbiate e che oggi tornano a galla sulla scia di questo tumultuoso movimento di massa che cerca la sua identità nel passato e che qui interroghiamo attraverso le dinastie leggendarie anche se mal note nel proprio paese, quelle di Massinissa, Giugurtha, Giuba I e Giuba II.

1.       Massinissa

Il numida Massinissa è cresciuto tra i ranghi dei Cartaginesi, ma finì per tradire il suo capo Annibale e per giurare fedeltà eterna a Roma, servendola con assoluta lealtà.

E’ facile immaginare Massinissa furioso contro il Senato Cartaginese, dopo aver lottato contro Sifax, re di Mauretania e rischiato la vita per i Cartaginesi, sulla base di accordi precedenti presi con suo padre Gaia, che prevedevano la creazione di un regno numida con lui stesso sul trono; nel mentre, Cartagine concludeva altri accordi con il rivale Sifax che aspirava anche lui a prendere la mano di Sofonisba, figlia di Asdrubale, figlio di Giscone, la bella ragazza della quale Massinissa era innamorato fin dai primi anni di scuola, situata negli alti quartieri di Cartagine. Non si era quindi più sentito legato dagli accordi con Cartagine, e aveva proposto a Scipione di passare armi e bagagli nelle file romane.

Scipione sbarca sulle coste settentrionali tunisine nell’anno 204 a.C. Dopo la morte di Sifax e la sconfitta di Annibale, Roma riconobbe effettivamente Massinissa unico re Numida, senza offrirgli, tuttavia, l’aiuto che gli avrebbe consentito di fare di Cartagine, la capitale del suo regno.

Ricevuto l’ordine del Senato di Cartagine di rientrare in patria, Annibale partì da Crotone, in Calabria, e giunse sano e salvo, malgrado tutte le insidie, a Leptis Minor (oggi Lemta). Era la prima volta che rimetteva il piede sul suolo patrio dopo una assenza durata 34 anni, da quando era partito per la Spagna in compagnia del padre nel 237 a.C.

La battaglia decisiva si svolse a Zama, una località non lontano dall’attuale città del Kef, e mai stata localizzata. Dopo un inizio vittorioso contro le truppe di Scipione, Annibale fu attaccato alle spalle da una numerosa cavalleria berbera numida condotta da Massinissa e da un tenente di Scipione. Per Annibale ci fu la sconfitta, e per Scipione il giorno di gloria (201 a.C.). A Massinissa, artefice della cattura di Siface e, in massima parte, della vittoria di Zama, veniva concesso il regno della Numidia, sotto protettorato romano, nei seguenti termini: « (è fatto) dono a Massinissa, oltre che del regno paterno, della fortezza di Cirta (in realtà una importante città, sede orientale del regno di Siface; attualmente Constantine) e delle altre città e territori che dal regno di Siface erano passati in potere del popolo romano » (Tito Livio). Roma riconobbe effettivamente Massinissa unico re Numida, senza offrirgli, tuttavia, l’aiuto che gli avrebbe consentito di fare di Cartagine, la capitale del suo regno. I romani avevano trovato l’uomo giusto al posto giusto. Era Massinissa, educato a Cartagine dilaniata dalle lotte politico – affaristiche, dove aveva avuto libero accesso nelle più importanti famiglie. Era, inoltre, un giovane pieno di talento militare e esperto di servizi segreti. ebbe rapidamente la capacità di convincere i vicini mauri e libici ad allearsi con lui contro i loro nemici comuni, i Cartaginesi e i Numidi di Siface. Era la prima associazione nella storia tra il Nord Africa diviso e l’Europa.

Il Nord Africa non troverà il tempo dello sviluppo. Presto Massinissa diventerà la pedina, l’uomo della provvidenza per eliminare Cartagine. Dopo essere stato l’uomo determinante nella sconfitta di Annibale a Zama, sarà l’esecutore della politica romana che porterà alla Shoah dei Cartaginesi per mano di Scipione Emiliano e per volontà del senato e del popolo romano.

2.       Giugurtha

Micipsa (doveva suonare   Mikipsa, in lingua numida: MKWSN), figlio di Massinissa, salì sul trono della Numidia alla morte del padre nel148 a. C. Il suo regno durerà trent’anni, fino alla morte nel 118 a. C.

Giugurtha, orfano di padre, fu adottato dal re Micipsa, quando aveva a pena dieci anni di età, verso il 143 a. C, prima della nascita dei propri figli del re, Aderbale e Jempsale.

Ecc., ecc.

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